Cari Soci,
ai tempi della Legge 106 che permise il volo ultraleggero nel nostro Paese, chi volava con quel tipo di mezzi aveva ben chiaro che non si trattava di aviazione generale. Anzi, dell’AG italiana, semmai avesse avuto a che fare con Civilavia, in genere non ne voleva proprio più sapere. Come sia andata lo sappiamo bene, e prima con il Dpr 133/2010 e poi con il Dpc 503/021, che ha sdoganato l’aumento di peso fino a 600 kg (ma non ha risolto la mancata rispondenza dei mezzi alle regole ICAO e alle raccomandazioni dell’ANSV), eccoci ad avere una categoria di aeromobili che ha tutti gli svantaggi dell’ultraleggero insieme con tutti quelli
dell’aviazione generale, oggi colpita dal limite calendariale dei motori Rotax (come alcuni di noi), e gestito da un ente da riformare completamente. La stessa storia, seppure con strumenti normativi differenti, accadde tra campi di volo, aviosuperfici e aeroporti minori. Su questi ultimi i costi e le limitazioni erano (talvolta sono) tali da scoraggiare chiunque ad andarci, ripiegando – ecco la pezza – sulla costruzione di aviosuperfici e l’invenzione dei campi di volo. A vantaggio dei meno attempati voglio ricordare alcune perle tutte italiane:
- il VDS basico non può contattare gli enti ATS anche se il pilota ha l’attestato di fonia e il velivolo una regolare Licenza di Stazione Radio ;
- i VDS basici non possono atterrare negli aeroporti minori “salvo deroghe” di un ufficio il cui responsabile, spesso, non è mai neppure stato sul posto.
Nessuno al mondo si è mai posto tale limitazione. ENAC intanto non ha mai chiarito esplicitamente se un Experimental possa o meno operare da un campo di volo. Se torniamo indietro con la memoria, ricordo anche quando era impossibile restaurare un velivolo militare, seppur storico, perché una legge imponeva di dismetterlo tagliandolo in tre parti. Non in quattro, esagerando, ma in più di due, vedi mai che qualcuno facesse presto a ricucirlo nottetempo.
Deve quindi passare dallo status di “relitto”.
E che dire della tassa sul peso degli aerei, oppure dell’idea della Pubblica Sicurezza di imporre lo smontaggio delle eliche al termine del volo?
Non fosse tutto vero, sono cose che non vanno troppo lontano dalla tassa sul celibato del Ventennio fascista o da quella per indossare le parrucche in vigore nella Venezia del Settecento.
Tant’è, da anni mantenere un aeromobile di aviazione generale presso una Camo ha costi notevoli, così ecco che fin troppa gente si rivolge al CAP tentando di aggirare ciò che terrorizza i piloti privati almeno quanto la Guardia di Finanza: la carta. Hanno ragione riguardo le Fiamme Gialle, tra la vicenda “T-7” di una quindicina d’anni fa e quella degli “N” ancora in corso, ogni volta che un giudice sospetta soltanto, un pilota versa migliaia di euro dall’avvocato per vicende che nel 99% dei casi finiscono in nulla, ma che nel frattempo hanno devastato matrimoni, arrugginito aeroplani e sono costate un’enormità ai contribuenti.
Per non parlare della figuraccia con i vicini di casa, che vedono arrivare i militari alle 5 del mattino con i mitra in mano ricordando scenari da Mani pulite. Padri di famiglia, piloti, segnati per sempre come “quello che hanno portato via.”
Potrei continuare per intere pagine con le chicche aeronautiche nostrane che ci rendono ridicoli nel mondo, ma a preoccupare il Club Aviazione Popolare è il fatto che ancora siamo l’unica Entità Qualificata italiana e
che, volenti o nolenti, ci dobbiamo fare carico dei velivoli in “Annesso 1” che i proprietari ci presentano.
E tra questi ci sono anche coloro i quali vogliono l’Experimental per risparmiare o non avere a che fare con carta ed Enac. Se non l’avete ancora capito, noi del CAP finiamo per essere una delle pezze di cui scrivevo prima, mettendo toppe che spesso si rivelano peggio del buco.
E quando matrigna Easa propina una novità, apriti cielo.
Così, cari soci, se qualche pilota vi dice che vuole entrare a far parte del CAP, siate onesti con lui: ricordategli che qui bisogna lavorare, studiare, leggere e scrivere su carta, ancorché file.pdf.
Quanto alle nostre procedure interne, la certificazione come QE ci ha imposto, a fronte di una finalmente conquistata autonomia nelle valutazioni tecniche dei vari progetti, comportamenti (procedure) simili a quelli di ENAC (le approvano loro), che poi sono sempre richieste di… carta.
Stiamo calmi, soltanto il tempo dimostrerà che non è poi tutta così necessaria e ci consentirà di alleggerire il lavoro di costruttori, IST e anche dell’Ufficio Tecnico del CAP.
Forse un giorno basterà un codice QR oppure un’autocertificazione con scritto: “Dichiaro sotto la mia responsabilità che l’aereo è fatto bene, di essere prudente, di stare attento e di non precipitare.”
E col silenzio assenso, decollare.
Sergio Barlocchetti