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Uno straccio nella mano destra, pantaloni con grandi tasche e una camicia a quadretti un po’ troppo grande. Stava tenendo lucido il suo aeroplano, un P-51Mustang che pareva uscito dalla fabbrica il giorno prima, e che invece aveva alle spalle la metà di una guerra in Europa. E io a chiedergli un autografo, per il quale smise per un attimo di pulire l’aeroplano per darmi retta. Così, alla grande manifestazione aerea di Oshkosh, nel Wisconsin, una ventina d’anni fa, conobbi il generale Charles Elwood Yeager, per il mondo semplicemente “Chuck”, che s’è né andato ieri, a 97 anni e a causa delle complicazioni dovute a una caduta. Quel giorno sul Mustang mi fece anche salire, fino a quando lo chiamarono per il briefing pre-volo. Qualche ora dopo ci sarebbe stato l’airshow e lui avrebbe guidato una formazione di aeroplani d’epoca, caccia e bombardieri che passavano innanzi al pubblico con grande solennità. E io a guardarli insieme con altre 350.000 persone.

Ora Chuck è partito per il volo più lungo, come diciamo “noi” piloti di aeroplani. Scusate, è un “noi” assurdo, nessun paragone possibile con i comuni inquilini delle cabine di pilotaggio, se non l’amore per l’aviazione. Victoria Yeager, sua seconda moglie, l’ha detto al mondo qualche ora fa: “Con profondo dolore devo dire che l’amore della mia vita è morto poco prima delle nove di sera”, ha scritto sull’account Twitter di suo marito, “Una vita incredibile, ben vissuta, il più grande pilota d’America che ci lascia un’eredità di forza, avventura e patriottismo che saranno ricordati per sempre.”

Perché all’alba del 14 ottobre 1947 Chuck, a bordo dell’aeroplano razzo Bell X-1A, era stato il primo a superare il muro del suono, una barriera che aveva portato via diversi suoi colleghi prima di lui. Ma quel giorno, decollato dalla base militare di Edwards, aveva volato tra la California e il Nevada con numeri fino a quel momento mai raggiunti prima: Mach 1.05 a 45.000 piedi, che significa 1.295 km all’ora a 13.700 metri di quota, provocando il primo “boom” sonico della storia, schizzando più veloce del suono e aprendo una nuova frontiera nello sviluppo degli aviogetti. Una notizia tanto importante che il governo americano tenne segreta fino al giugno 1948.

Celebre, di quel volo, il nome della sua prima moglie dipinto in rosso sulla fusoliera: “Glamorous Glennis”, due costole incrinate per essere caduto da cavallo il giorno prima e l’atteggiamento di patriottismo che gli fece rispondere che no, non avrebbe chiesto altro denaro oltre la sua paga di capitano, per salire su quel missile.

Nato il 13 febbraio 1923 a Myra, West Virginia, fu meccanico aeronautico all’età di 18 anni, pilota di caccia della seconda guerra mondiale con 12 abbattimenti confermati dei quali 5 in un solo giorno, abbattuto sul cielo francese e messo in salvo dalla resistenza, torna in Inghilterra e riprende a volare. Diventa collaudatore e vola supersonico, poi torna a pilotare aeroplani lenti come pilota di bombardieri nella Germania della guerra fredda, ancora collaudatore e istruttore, fino ad andare in pensione dal 1975. Ha all’attivo 10.000 ore di volo su 360 aeroplani diversi ma non appende il brevetto al chiodo: nel 1979 è protagonista celebrato nel best-seller dello scrittore Tom Wolfe “The Right Stuff” dal quale nel 1983 è stato tratto l’omonimo film da Oscar conosciuto in Italia con il titolo “Uomini veri”. Frequenta i grandi circus aeronautici come Reno e Oshkosh, diffonde la cultura aeronautica senza mai tirarsi indietro, ma si concede un po’ di pace pescando trote di tanto in tanto. E nel 1997, per celebrare il mezzo secolo del suo volo, volentieri si fa mettere su uno F-15 Eagle dell’Usaf e torna a volare supersonico, pubblicando il video che online ha totalizzato oltre un milione di visualizzazioni.

Lascia anche un milione di piloti americani senza il “grande vecchio”, ne lascia parecchi di più nel mondo senza il suo grande esempio, e lascia l’aviazione mondiale senza l’ultima vera leggenda vivente.

Godspeed generale Yeager.

Sergio Barlocchetti – dalla rivista “Panorama”

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